Lo buon maestro cominci? a dire:
“Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre s? come sire:
quelli ? Omero poeta sovrano;
l’altro ? Orazio satiro che vene;
Ovidio ? ‘l terzo, e l’ultimo Lucano.
Per? che ciascun meco si convene
nel nome che son? la voce sola,
fannomi onore, e di ci? fanno bene”.
Cos? vid’ i’ adunar la bella scola
di quel segnor[71 - quel segnor – Omero] de l’altissimo canto
che sovra li altri com’ aquila vola.
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi[72 - volsersi = voltarsi] a me con salutevol cenno,
e ‘l mio maestro sorrise di tanto;
e pi? d’onore ancora assai mi fenno[73 - fenno = fanno],
ch’e’ s? mi fecer de la loro schiera,
s? ch’io fui sesto tra cotanto senno.
Cos? andammo infino a la lumera[74 - lumera = lumiera],
parlando cose che ‘l tacere ? bello,
s? com’ era ‘l parlar col? dov’ era.
Venimmo al pi? d’un nobile castello[75 - nobile castello – le sette mura del castello rappresentano le quattro virt? cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) e le tre intellettuali (intelletto, scienza, sapienza).],
sette volte cerchiato d’alte mura,
difeso intorno d’un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo[76 - giungere] in prato di fresca verdura.
Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorit? ne’ lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.
Traemmoci cos? da l’un de’ canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
s? che veder si potien tutti quanti.
Col? diritto, sovra ‘l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m’essalto[77 - essaltare = esaltare].
I’ vidi Eletra con molti compagni,
tra ‘ quai conobbi Ett?r ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l’altra parte vidi ‘l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea.
Vidi quel Bruto che cacci? Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marz?a e Corniglia;
e solo, in parte, vidi ‘l Saladino.
Poi ch’innalzai un poco pi? le ciglia,
vidi ‘l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid’ ?o Socrate e Platone,