
Voglio Morderti Il...
Nah. Del tutto inutile, a parte le risate.
“Aspetta.” Alla richiesta di Yvette era seguito il rumore di un macina-caffè. Quando era ritornato il silenzio, lei aveva detto, “Faccio fatica a fare battute senza un pubblico. E c’è così tanto materiale. La musica, le luci, la trama, il trucco. E le acconciature.” Aveva fatto un suono di disapprovazione. “Negli anni ‘70 avevano davvero problemi ad avere una peluria decente, sopra e sotto la cintura.”
“Hmm,” avevo mormorato, dopodiché avevo sorseggiato il mio caffè. “Non lo nego, ma ho un problema che deve essere gestito, per cui dovremo mettere da parte il fatto che mi stai tradendo.”
“Va bene. Ho ancora qualche minuto prima che il mio caffè francese sia pronto. Finché non avrò preso la mia dose mattutina, dovrai parlare lentamente e chiaramente, ed evitare qualsiasi rivelazione scioccante.” Il rumore di una sedia che veniva trascinata aveva sottolineato la sua richiesta. “A meno che non si tratti di quel tipo sexy che hai baciato ieri sera. Quello che palpeggiavi nell’angolo non-interamente-buio del tuo soggiorno.”
Mi ero sistemata su uno dei due sgabelli infilati sotto la sezione bar dell’isola della cucina. Meglio lasciar perdere le pulizie mentre facevo quella conversazione. Sedersi era un’opzione molto migliore.
“Dal tuo silenzio, suppongo che tu presuma che nessuno l’abbia visto.” La sua voce si era ammorbidita.
“Uh, non esattamente. Speravo solo che non fosse l’attrazione della serata, visto che c’erano anche alcuni miei colleghi.” Avevo spinto via la tazza. Forse tre tazze e mezza di caffè erano troppe.
“Oh, tesoro.” Yvette si era messa a ridere, allentando parte della tensione che provavo. “I tuoi colleghi si ubriacano persi alle tue feste. L’ultima cosa che fanno è giudicarti per le tue attività sessuali.”
“Lo spero. Non credo di perdere il lavoro per un bacio fuori dall’orario di lavoro che ho dato a casa mia, ma in genere non mischio dimostrazioni pubbliche di affetto con eventi sociali para-lavorativi.” Esprimendo il fatto che non essere disoccupata lunedì sarebbe utile. Era solo che avevo quell’altra cosa di cui preoccuparmi. Quella cosa alta più di 1,80, non-così-pelosa, molto flessibile.
“Esattamente. Quello di ieri sera è stato un comportamento atipico. Probabilmente se ne saranno già dimenticati. Inoltre, non è che ti puoi presentare come un Jon Snow vampiresco. Adesso quel tipo ha qualcosa per cui essere in imbarazzo. Si può soltanto presumere che abbia preso quella decisione da sobrio, il che rende la cosa molto peggiore.”
“Ha! Quello era Robert. Già, non so cosa c’entri lui con i vampiri.”
“Abbiamo superato la parte in cui sei moderatamente a disagio per il fatto che i tuoi colleghi ti hanno visto baciare e palpeggiare aggressivamente un tizio?”
Io palpeggiavo aggressivamente? Maledizione, suppongo di averlo fatto.
Ma… Ero a casa mia. Fuori dall’orario di lavoro. Non era una riunione di lavoro.
Certo, l’avevo superata.
“Uh-huh.” Mi preparavo per qualsiasi cosa sarebbe arrivata dopo.
“Porca merda, quell’uomo era eccitato forte. E voi due, tra il palpeggiare e il folle, intenso baciare e la parte in cui ti ha tirata su… semplicemente…” Aveva sospirato. “Non puoi vedermi, ma mi sto facendo aria.”
“Super-eccitante, vero?” E lo era stato. Davvero eccitante. Mi aveva sollevato il culo come se non pesassi niente. Quello era stato una spinta per l’ego, perché non sono leggera. Le curve aggiungevano massa. Poi lui aveva concentrato tutta quella deliziosa attenzione maschile su di me. La sua calda bocca sulla mia, il suo forte corpo premuto contro di me… cazzo.
“Um-hmm. E tanto per chiarire, una folta barba e una testa piena di capelli non rendono ‘pelosi’, svitata che non sei altro.” Aveva fatto una pausa, poi aveva aggiunto, “A meno che tu non ammetta di averlo visto nudo.”
“Per quello… Peloso potrebbe essere fuorviante.” Decisamente fuorviante.
Non c’era niente di peloso in Oliver, a parte gli stupendi riccioli e la barba curata a livello professionale. Quell’uomo doveva avere un’abilità non umana con le forbici, oppure trascorreva molto tempo dal parrucchiere.
Per quanto riguardava il resto del corpo, aveva una peluria addominale deliziosamente osé e una leggera spolverata di peli sul petto. Decisamente non era peloso.
“Lo sapevo!” Yvette aveva lasciato cadere il telefono mentre rigurgitava bestemmie. Un secondo dopo era tornata. “Cazzo, ragazza, mi hai fatto versare il caffè.”
“Non parlare con le mani!” Riuscivo a vederla, circondata dai colori vivaci della sua cucina, mentre gesticolava tenendo in mano una tazza piena di caffè.
Ignorando il mio ammonimento, aveva risposto, “Hai dormito con lui. Sono così fiera di te. Dopo chissà quanto tempo hai visto un po’ d’azione. Quanto è passato? Un anno?”
Yvette, al contrario di Becca, era pienamente consapevole del mio periodo di magra. Sospettava anche che il mio elenco “sesso, sì” fosse precedentemente esistito come qualcos’altro di completamente diverso.
“No, non ho dormito con lui. È un musicista. Un musicista barista.”
Yvette sapeva anche tutto sui miei genitori. Sapeva che mia madre era una bambina mai cresciuta con un fondo fiduciario. Sapeva che mio padre, una volta (per brevissimo tempo), era stato un rocker di successo che aveva sposato una ricca groupie. Sapeva che nessuno di loro era in grado di agire come un adulto, compresi (tra l’altro) i rapporti tra loro e con me.
Yvette sapeva dei miei genitori soltanto perché, quando ci eravamo conosciute, ero stata un’assoluta, perfida stronza. Anche lei era stata una bambina con un fondo fiduciario. Non come per i miei genitori, come si era scoperto, ma inizialmente non le avevo dato la possibilità di mostrarmi che era diverso.
Dopo la nostra falsa partenza, mi ero resa conto di averla giudicata male per le azioni dei miei genitori e avevo scaricato parte del bagaglio della mia famiglia durante il processo di scuse per il mio comportamento di merda. Lei aveva contraccambiato raccontandomi che anche lei aveva le sue difficoltà parentali, sebbene fossero di natura differente rispetto alle mie. Da quel momento siamo state piuttosto intime.
Poiché Yvette conosceva i miei genitori e sapeva quanto avessero influenzato il mio atteggiamento nei confronti sia dei non-adulti irresponsabili sia dei musicisti, capiva perché inizialmente avessi liquidato Oliver, alla festa.
Era il resto che l’aveva sorpresa.
“Cazzo. Che peccato per quella cosa del musicista barista. A meno che tu non stia sperimentando il rimpianto.” La nota speranzosa nella sua voce era graziosa. Come se credesse ancora nella possibilità di una semplice, facile scopata.
Oh, giusto. Lo credeva. Yvette prendeva tanti cazzi quanti Becca pensava ne prendessi io. Non ero sicura di come ci riuscisse. In giro non c’erano così tanti uomini scopabili.
Poiché non rispondevo, aveva suggerito, “È questo il motivo per cui hai chiamato? Ti prego, dimmi che sei indecisa se lasciarlo. Ti prego, ti prego. Perché se è così, ti dico: butta quel fottuto elenco e dormi con quell’uomo. È troppo carino per rinunciarvi, qualunque possa essere la sua professione o per quanto merdose siano le sue capacità di conversazione.”
“Non ricominciare.”
Yvette mi aveva accusato di chiedere troppi requisiti agli uomini che frequentavo. Non era la prima volta che mi incoraggiava a mettere da parte il mio elenco.
Mi aveva anche detto, non così terribilmente tanto tempo prima, di buttarlo. Qualcosa sul fatto che dovrei seguire il mio cuore, e se non il mio cuore, almeno le mie parti femminili.
Buttare l’elenco? Neanche per sogno.
Ma che ci potevo fare se ogni singolo bambinone che conoscevo, indipendentemente dal suo quoziente di arrapamento, mi lasciava meno che entusiasta? Volevo fare sesso con uomini, non con ragazzi cresciuti e mai diventati maturi.
“È un po’ più complicato di un semplice ‘voglio, non voglio’ fare sesso con lui.”
E le avevo raccontato dei messaggi da ubriaca, della sfida di yoga all’alba, e poi della rivelazione di quella mattina, che il figo peloso dopotutto non era così peloso, verità che avevo scoperto perché avevo visto gran parte del suo corpo nudo.
Lei era rimasta in silenzio dopo che avevo finito. Troppo in silenzio.
“Beh?” l’avevo spronata.
“Dammi un secondo. Sto pensando. Ugh, cosa sto dicendo? Non sto pensando. Sto cercando di prevedere la mia conclusione. Sto dubitando di quello che so essere vero.”
A volte la mia amica Yvette può essere un tantino teatrale. Dico io. Lei lo nega.
“Sputa, dai.”
Il suono di un respiro profondo aveva preceduto la sua risposta. “Alza i tacchi. Non richiamarlo. Non mandare messaggi. Non fare lo yoga mattutino. Dimentica di averlo conosciuto.”
“Cosa? Perché?” Stava dicendo sul serio? Yvette, tra tutte le persone, era proprio quella che avrebbe dovuto incoraggiarmi. Stava mettendo il dito nella piaga del mio ultimo periodo di magra, che durava da troppo tempo, ormai.
Stavo cercando un consiglio per capire se lasciar perdere oppure no la sfida, non per scegliere se avrei dovuto oppure no mollare il tipo. Il tipo che ero pronta a scopare – bloccandolo facendogli perdere l’interesse prima che avesse la possibilità di infilare il suo uccello – e come avevamo già discusso, la mia astinenza tendeva a una durata epica.
La sfida era il problema. Mi piacevano le sfide, abbastanza fino al punto che odiavo l’idea di andarmene, anche se sapevo che Oliver la usava come un modo per tormentarmi con il suo corpo assurdamente in forma, come rappresaglia per averlo respinto.
“Perché?” aveva domandato Yvette. “Hmm. Vediamo. Io, diversamente da te, faccio sesso occasionale. Tu fai sesso con gli uomini come se fosse un colloquio per capire se possono essere partner per la vita. Ma lo neghi, così di tanto in tanto dormi con un umano occasionale.”
Negavo quel non-fatto. Non c’erano colloqui in corso per cercare un partner per la vita, perché gli uomini facevano schifo. Ma al momento non avevo intenzione di affrontare la cosa.
“E tutto questo cos’ha a che fare con Oliver?”
“Dea. Ascoltati. Non riesci nemmeno a dire il suo nome senza che suoni arrapante da togliere il fiato e sessualmente frustrato allo stesso tempo.” Aveva fatto una pausa, e io potevo immaginarla nella sua cucina mentre si stringeva le mani e cercava di assumere un’espressione pensosa. Era difficile con tutti quei capelli biondi e quella sua adorabilità. “Se pensassi che potresti semplicemente fare sesso con lui e passare oltre, ti direi fallo. Sai che lo farei.”
“Non pensi che potrei farlo?” Ero abbastanza sicura che avrei potuto. Se avessi fatto sesso con lui, il che era un grosso se, visto che era un adolescente sulla trentina destinato a mollarmi prima o poi.
“Quel tipo ti piace, anche se non corrisponde a tutti i tuoi requisiti. Anche se non corrisponde al requisito principale; è umano. Solo quello lo rende insolito. Aggiungi un esteso periodo di continuo contatto con lui, trenta giorni passati a fissare il corpo del tuo sexy istruttore di yoga e penso che ti prepari per un immenso dolore. Con un umano, Megan.”
“Ma lo è?” Perché c’era stato quel commento tagliente sul preparare un favoloso Bloody Mary, accompagnato da uno sguardo stranamente d’intesa. “Pensi… voglio dire, è un’idea folle, ma pensi che ci sia la possibilità che possa essere un vampiro senza che noi lo sappiamo?”
“No.” Il suo tono privo di emozione non lasciava spazio alla discussione.
Ma… io un po’ volevo che fosse un vampiro.
Mi rifiutavo di contemplare da vicino quel desiderio. “E se si fosse semplicemente trasferito qui?”
“L’ha fatto?”
Maledizione. La sua band. Ed era anche amico di Millie. “Non credo.”
“Allora non è un vampiro. Conosco tutti i vampiri del posto.”
Ed era vero. Era una piccola comunità, ma il modo in cui Yvette sapeva tutto di tutti era davvero inquietante. Era informata a livelli da stalker.
“Il tuo consiglio è di alzare i tacchi. Concedere la sfida, dimenticare il non-così-peloso figo peloso. Fare finta che non mi abbia mai baciata, palpeggiata o sfregata. Tutto perché tu pensi che io possa diventare completamente sdolcinata o stupida per questo tizio. Perché non pensi che possa avere una relazione puramente sessuale con lui.” Avevo fatto una pausa, poi avevo tirato fuori un pezzo di informazione vitale che fino a quel momento avevo tenuto nascosto. “Ho detto che ha un cazzo enorme?”
Se qualcuno, anche solo un giorno prima, me lo avesse chiesto, avrei detto che la dimensione del cazzo era irrilevante. A parte proprio il minimo sindacale, per me è più una questione di attenzione mirata, di mani, di lingue e di denti. E di baci. Adoro i baci. Sono il tipo di ragazza per cui conta di più saperci fare che la dimensione, e il bacio batte tutto il resto.
Ma… potevo sbagliarmi.
E se il tipo ci avesse saputo fare e fosse stato dotato?
“Cazzo,” aveva borbottato Yvette. “Farai sicuramente sesso con questo tizio.”
Le parole di commiato di Yvette, prima di chiudere la telefonata, erano state: fai attenzione. E non stava parlando di sesso sicuro.
Stava decisamente parlando del mio cuore.
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