
Ariion XXIII
In quel momento, Cameron aveva bisogno di un lavoro, ma soltanto per pochi giorni. Non era interessato a un lavoro a lungo termine. Venti o trenta dollari gli sarebbero bastati. Nel suo futuro, non vedeva oltre al suo prossimo pasto.
“Bè, allora le piacerebbe essere il nostro ingegnere paesaggista?”
“Vuole che io sia il suo giardiniere?”
“Ciò che voglio io è che lei vada altrove, ma la mia cara figlia sembra pensare che lei abbia…uhm…potremmo dire delle possibilità.”
“Possibilità, eh?” Guardò Ariion, poi tornò a guardare sua madre.
Non era una donna dal brutto aspetto, ma un po’ troppo magra per i suoi gusti. Se si fosse tolta quella crocchia puritana e avesse permesso ai suoi capelli di cadere sciolti, sarebbe stata perfino carina. E un po’ di ombretto e rossetto avrebbero fatto meraviglie.
“Cosa pensa?” chiese Cameron alla signora Sanders.
“Penso barbone una volta, barbone per sempre.”
“E un tempo una strega—”
“Smettetela!” disse Ariion. “Sembrate una vecchia coppia sposata. Cameron, vogliamo che tu sia il nostro giardiniere.”
“Hm…chi, precisamente, vuole essere il mio capo?”
“Io—” iniziò la signora Sanders.
Ariion la interruppe. “Mamma, smettila. Penso che Cameron dovrebbe essere il capo di se stesso.”
“Suona bene.” Cameron guardò la signora Sanders.
“Ora lei è il capo di se stesso,” disse la signora Sanders, “e guarda cosa gli ha portato, una bella panchina del parco come casa.”
“Bene.” Cameron spinse indietro la sedia. “Penso che abbiamo finito.” Si alzò, pronto ad andarsene.
“Grrrrr!” Ariion digrignò i denti. “Siediti. Capisco che devo arrangiarmi da sola. Cameron, vogliamo che tu lavori per noi, e ti pagheremo…Mamma, quanto pagavi il signor Hailey prima di licenziarlo?”
Cameron si sedette e guardò la signora Sanders.
“Io non l’ho licenziato. Semplicemente non andavamo più d’accordo su alcune cose.”
“Che sorpresa,” mormorò Cameron dietro il bicchiere di tè.
Ariion lo guardò, ma parlò a sua madre. “Quanto lo pagavi prima che non andaste più d’accordo?”
“Quattrocentocinquanta a settimana.”
“Cameron, ti pagheremo cinquecento dollari a settimana —”
“Cosa?” urlò sua madre.
“E puoi vivere nelle stanze sopra i garage.” Ariion indicò un edificio sul confine della proprietà. Tre porte da garage si trovavano parallele al primo piano e agli alloggi al piano di sopra.
“Cosa?” urlò di nuovo sua madre.
“Accetto,” disse Cameron.
“Ottimo,” disse Ariion. “Quando puoi iniziare?”
“Aspetti solo un minuto,” disse sua madre. “Ariion, da quando ti occupi di questioni personali? E lei, signor St. Lawrence, non verrà a lavorare finché non lo dirò io.”
“Posso iniziare oggi,” disse Cameron ad Ariion, “questo pomeriggio.”
“Bene,” disse Ariion. “E immagino che dovrei assumere anche un cuoco. Altrimenti, vivremo di bagel e pizza congelata per il resto delle nostre vite.”
“Perché non assumi anche una cameriera e un maggiordomo, già che ci sei?” La signora Sanders incrociò le braccia. “E non so nemmeno se l’appartamento della rimessa è abitabile.”
“Hm…” Ariion prese un sorso di tè. “Assumere una cameriera non è una cattiva idea.”
“Non si preoccupi per i mobili, signora Sanders,” disse Cameron. “Quando porterò qui la mia panchina del parco, sarò a posto.”
Ariion rise mentre sua madre guardava Cameron, e poi sua figlia.
* * * * *Tre giorni dopo che Cameron si trasferì nella rimessa, la signora Sanders guardò fuori dalla finestra della cucina, poi si avvicinò per vedere meglio. Un uomo che non riconobbe si aggirava per il giardino sul retro come se fosse il proprietario del posto. Dov’era il suo nuovo dipendente? Non avrebbe dovuto già lavorare in giardino? Proprio come pensava, era stato un barbone per troppo tempo, presentarsi in orario era fuori questione.
Andò alla porta sul retro e la aprì. "Ehi, lei! Se ne vada dalla mia proprietà prima che chiami la polizia."
L’uomo indossava pantaloni Verdi e una camicia marrone stropicciata. Aveva un rastrello in spalla e una piccola pala nella mano destra. L’uomo si fermò e si voltò per affrontare la signora Sanders.
“Sono i miei attrezzi, quelli?” Scese i gradini della porta sul retro.
L’uomo guardò gli attrezzi e si strinse nelle spalle.
“Li metta giù, e vada via di qui.” Si fermò a poca distanza da lui. “I poliziotti sono proprio dietro l’angolo.”
Lui le fece una smorfia.
Lei lo guardò con gli occhi ridotti a fessura.
“Se le do questi attrezzi, significa che lavorerà nelle aiuole a ovest dove vuol piantare le petunie?”
“Oh, santo cielo!” Si portò una mano alla gola. “St. Lawrence?”
“Certo. Quanti giardinieri ha assunto?”
“Ha—”
“Mamma!” Ariion uscì dalla casa e corse attraverso il prato. “Cos’hai fatto?” Guardò l’estraneo. “Dov’è Cameron?” Si mise le mani sui fianchi.
La signora Sanders puntò un dito tremante su Cameron. “Lui è—”
“Chi è quest’uomo? Hai licenziato Cameron e hai assunto quest’uomo mentre Felicia ed io stavamo guardando il film?” Ariion si spostò e guardò sua madre. “Ne ho abbastanza dei tuoi stupidi capricci. Se Cameron se n’è andato, potresti salutarmi, perché mi trasferisco a Central Park.”
Capitolo Quattro
Cameron sorrise mentre guardava Ariion arrabbiarsi. Non l’aveva mai vista così infervorata.
“Vacci piano con tua madre, agnellina. Può essere capricciosa, ma non la definirei stupida.”
Ad Ariion cadde la mascella. Lo fissò, piena di dubbi. “Santo cielo!”
“Esatto,” disse sua madre.
“Vi comportate come se non aveste mai visto un giardiniere prima.”
“La tua barba…” disse Ariion.
“Già.” Si strofinò il mento. “Sparita.”
“E i tuoi capelli.”
Passò una mano sui capelli e si mise di lato per mostrare il suo profilo. “Cosa ne pensate? Troppi corti?”
“Non posso…” cominciò sua madre.
“…crederci,” finì Ariion.
“Se non vi piace, posso farmeli ricrescere.” Finse un’espressione ferita.
“Ha un aspetto quasi rispettabile,” disse la signora Sanders.
Ariion guardò sua madre. “Ha un bellissimo aspetto, intendi dire.”
“Bè, non andrei così lontano.” La signora Sanders sorrise. “Ma lui lo farà.”
“Venendo da lei,” disse Cameron, “lo prenderò come un complimento.”
* * * * *Cameron era salito su una scala a pioliper applicare uno strato fresco di vernice bianca sulle colonne del portico anteriore.
Ariion uscì dalla porta d’ingresso. “Hai iniziato a lavorare presto, stamani.”
“Mi piace iniziare presto e inoltre mi sembrava giusto fare qualcosa di utile.” Immerse il pennello nel barattolo e tolse la vernice in eccesso.
Ariion si guardò intorno. “Hai un altro pennello?”
Indicò i gradini con il pennello.
La ragazza prese un pennellino, lo intinse nella latta della vernice, e iniziò con la ringhiera tra le colonne. “Cosa facevi prima di…”
Cameron sorrise. “Prima di diventare un barbone?”
La ragazza annuì.
“Ero…uhm…” Scese dalla scala. “…nella corte.”
“Eri un giudice?”
“Non proprio.”
“Un avvocato, allora?”
“No.”
“Cosa?”
“Ci sono cose molto più interessanti di cui parlare. Come sta la tua amica Felicia? Come va a scuola? Com’era il film? Dov’è l’ufficio di tua madre? Come…”
“Voglio sapere cosa facevi nella corte.”
Cameron sospirò. “Sul campo; non in tribunale.”
“Okay,cosa facevi sul campo?” Si inginocchiò per dipingere sotto la ringhiera.
“Giocavo a tennis.”
“Tutto qui?” Sgocciolò il pennello nella latta. “Giocavi a tennis e poi sei diventato un barbone?”
“All’epoca, ero il terzo giocatore più forte del mondo, e facevo la bella vita. Ho viaggiato per i tornei in Europa, Australia, e in estremo oriente. Avevo uno stile di vita piuttosto alto per un po’.” Aprì un’altra latta di vernice. “Cosa ne pensi di questo beige per le finiture attorno alla porta?”
“Perfetto. Cos’è successo?”
“Mi sono capitati due disastri in un giorno. Mi hanno praticamente gettato nell’oblio. Non ne ho mai parlato con nessuno. Sei sicura di voler sapere tutta questa vecchia storia?”
“Certo,” disse la ragazza. “Quanto tempo fa è successo?”
“Dieci anni. Ero in semifinale a Wimbledon. Fu una partita dura e lunga, quasi quattro ore. Ho giocato bene fino al quinto set. Ancora oggi non so cosa mi è successo, ho semplicemente perso la concentrazione per qualche minuto, ho perso due partite in rapida successione, poi da lì c’è stato il tracollo.” Cameron sedette sul secondo gradino del portico, e lei lo raggiunse. Lui si appoggiò il gomito sul ginocchio e si tolse della vernice dal polso. “Dopo che la partita finì, strinsi la mano al mio avversario, ma ero distrutto, devastato. Non vedevo l’ora di uscire dal campo e andare lontano dalla gente, soprattutto dai giornalisti che volevano sapere cosa era andato storto.”
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